La Forma Straordinaria del Matrimonio
I canoni 1116 del CIC e 832 del CCEO stabiliscono che coloro che intendono celebrare il vero matrimonio ma non possono avere o raggiungere senza grave incomodo un assistente (CCEO: un sacerdote) competente a norma del diritto, possono contrarre validamente e lecitamente matrimonio alla presenza dei soli testimoni “1. in pericolo di morte; 2. fuori dal pericolo di morte, purché si preveda prudentemente che tale stato di cose durerà per un mese”(c. 1116 §1 CIC ‘83; c. 832 §1 CCEO). Il codice orientale insiste nei §§ 2 e 3 sull’obbligo di ricevere al più presto dal sacerdote la benedizione del matrimonio, salva restando però la validità del matrimonio in presenza dei soli testimoni.
La prescrizione canonica di una specifica forma di celebrazione del matrimonio è una norma meramente ecclesiastica, mentre il diritto di ogni persona di contrarre matrimonio è un diritto naturale. La forma straordinaria intende tutelare il diritto naturale di contrarre matrimonio quando risulta impossibile o molto gravoso osservare la forma canonica ordinaria.
1. Origine della forma straordinaria
Prima del concilio di Trento, benché si raccomandasse la celebrazione del matrimonio in Chiesa, per la sua validità non era richiesta una forma canonica. Una volta introdotta con il decreto Tametsi (1563), laddove questo è stato promulgato si sono venute a creare situazioni, specialmente nei Paesi Bassi e in Belgio, in cui non era possibile osservare la forma ordinaria ed è stata quindi introdotta una forma straordinaria che con alcune modificazioni è entrata a far parte dei codici Latini del 1917 (c. 1098) e del 1983 (c. 1116). Per i cattolici orientali sia la forma canonica ordinaria obbligatoria per la validità sia la forma straordinaria sono state introdotte solo con il motu proprio Crebrae allatae del 1949; le disposizioni per la forma straordinaria sono stabilite nel c. 832 del CCEO.
2. Elementi richiesti “ad validitatem”
Perché possa utilizzarsi la forma straordinaria, si richiedono “ad validitatem” i seguenti elementi:
a. Il “grave incomodo”
Il canone prevede uno stato di cose per cui non si possa o avere presente o raggiungere alcun assistente al matrimonio a norma del diritto (cf. cc. 1108-1112 CIC ‘83; cc. 828-830 CCEO) senza un grave incomodo per i possibili assistenti competenti o anche per uno solo dei due contraenti. Tale incomodo è di natura obiettiva. La gravità può essere assoluta, ossia concernente qualsiasi persona, ovvero relativa, ossia concernente almeno uno dei due coniugi o i possibili assistenti, per esempio in ragione di una malattia, della distanza, della povertà, della persecuzione etc. (Resp. PONT. COMM. AD CODICIS CANONES AUTHENTICE INTERPRETANDOS, 3 maggio 1945, in AAS 37(1945) 149; P. FELICI, 134; c. MASALA, 14 dic. 1982, in APOSTOLICUM ROTAE ROMANAE TRIBUNAL [ARRT], Decisiones seu sententiae, LXXIV, 628). Per un valido ricorso alla forma straordinaria il grave incomodo deve verificarsi di fatto; la convinzione soggettiva circa l’esistenza di esso, benché invincibile e scusabile, non è sufficiente (c. MASALA, 628-629).
Gli autori aggiungono che tale incomodo grave potrebbe riguardare anche una terza persona o il bene comune, riferendosi alla vita, alla salute, alla libertà, alla fama, al possesso dei beni temporali. Così è ritenuto grave l’incomodo derivante dal divieto dell’autorità civile – anche sanzionato da pene per la coppia o per il celebrante – di celebrare il matrimonio, ad esempio per difetto della documentazione richiesta o perché non è stato possibile sciogliere un precedente matrimonio contratto civilmente, ma canonicamente invalido. La perdita della pensione o il costo del matrimonio civile obbligatorio - obbligo inculcato con sanzioni - costituisce un grave incomodo solo quando i contraenti sono veramente poveri e rischiano di perdere la fonte del loro sostentamento.
Qualora certi fatti, cause vere della nullità di un matrimonio, non possano venire provati nel foro esterno, un nuovo matrimonio civile di divorziati che non siano in grado di avvalersi del matrimonio nella forma canonica ordinaria è valido davanti a Dio, e sulla sua base si può ricorrere alla cosiddetta “soluzione al foro interno”, che permette alla coppia di partecipare ai sacramenti “remoto scandalo” (cf. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica Sulla comunione dei fedeli divorziati e risposati, 14 sett. 1994, AAS 86 (1994) 974-979, qui n. 9, p. 978; Familiaris consorto, n. 84).
b. Intenzione di celebrare il vero matrimonio
Non è necessario che i contraenti siano coscienti dell’esistenza della forma straordinaria per contrarre validamente in questa forma. È sufficiente soddisfare, di fatto, le esigenze del canone 1116 §1 CIC/ 832 §1 CCEO. La validità dipende dallo stato oggettivo delle cose. È necessario però che i contraenti intendano celebrare “il vero matrimonio” col consenso “naturaliter sufficiens”, soddisfacendo cioè a tutte le esigenze di diritto naturale (cf. c. 1057 §2 CIC 83; c. 817 §1 CCEO; cf. cc. 1055-1056 CIC 83; CCEO c. 776). La validità della forma straordinaria non dipende dal rito, ma chi esclude elementi essenziali dal suo consenso, non contrae matrimonio valido.
Quando viene applicata la forma straordinaria, gli impedimenti stabiliti dalla Chiesa mantengono la loro forza vincolante? Senz’altro gli impedimenti di diritto naturale continuano ad avere tutto il loro valore. Per l’applicazione degli impedimenti puramente ecclesiastici l’allora Sant’Uffizio si rifaceva al principio secondo cui le leggi ecclesiastiche non obbligano in caso di grave incomodo (Responsum del 27 gennaio 1949 e del 22 dicembre 1949, in: X. OCHOA, Leges Ecclesiae, II, 2563, n. 2021 e 2659, n. 2093). In circostanze straordinarie quindi i fedeli non sono vincolati dagli impedimenti ecclesiastici, dai quali la Chiesa suole dispensare. Qualora gli impedimenti siano stabiliti dalla legge positiva e non possa essere fatta la richiesta di ottenere la dispensa, i fedeli possono contrarre matrimonio in forma straordinaria o in casi estremi anche al di fuori di ogni forma canonica, essendo sufficiente l’intenzione di celebrare il vero matrimonio.
c. La presenza dei testi
Per la valida celebrazione del matrimonio si richiede la presenza di due testimoni (c. 1116 §1 CIC 83, cf. c. 1108 §1 CCEO; c. 832 §1 CCEO, cf. c. 828 §1 CCEO). Per i due testi non si esige alcuna qualità speciale, basta che siano presenti e capaci di rendere testimonianza dell’avvenuto consenso. La presenza dei testimoni è importante per provare nel foro esterno che il matrimonio è avvenuto. Solo, in circostanze del tutto particolari i coniugi possono contrarre matrimonio senza la presenza dei testi: in caso di urgente pericolo di morte con la dispensa dell’Ordinario o del sacerdote o del diacono (c. 1079 §§ 1-2) o quando la legge non sia vincolante (“non sarebbe da urgere nella sua osservanza”) a causa della impossibilità morale di osservarla (c. PALESTRO, 19 febbr. 1986, in: ARRT, Deciones..., LXXVIII, 106, cf. anche 105 e la risposta citata del S. Ufficio).
d. Il pericolo di morte o la prevedibile impossibilità - senza grave incomodo - di andare dall’assistente competente per un mese.
In caso di imminente pericolo di morte è possibile la dispensa dalla forma prescritta e non è neanche richiesta la presenza di due testimoni; la forma straordinaria può essere utilizzata anche quando non si possa andare senza grave incomodo dall’assistente competente ed il pericolo di morte di almeno uno dei contraenti non sia imminente (cf c. 1116 §1 n. 1). Il pericolo di morte si dà quando c’è una vera e grave probabilità del verificarsi della morte, proveniente ad esempio da una malattia, una guerra, un parto difficile, una condanna capitale o un’operazione chirurgica. Non importa la durata dell’assenza di persone competenti per assistere al matrimonio, e nemmeno la correttezza della valutazione del caso, purché questa sia stata prudente.
Al di fuori del pericolo di morte gli sposi possono contrarre matrimonio nella forma straordinaria “purché si preveda prudentemente che tale stato di cose durerà per un mese”(c. 1116 § 1, n. 2). Si tratta qui di una previsione relativa a un tempo futuro “che prenda le mosse da quanto solitamente accade” e fondata “su di un giudizio moralmente certo” (c. MASALA, 14 dic.. 1992, 629). Se una prudente previsione si dimostra successivamente erronea, la validità del matrimonio non ne viene intaccata. In questi casi un matrimonio civile contratto con un vero consenso matrimoniale è da considerarsi valido. I nubendi non hanno bisogno del permesso del parroco ovvero di qualche autorità per far ricorso alla forma straordinaria.
3. Elementi richiesti “ad liceitatem”
“Ad liceitatem” si richiede la presenza alla celebrazione del matrimonio di un altro sacerdote o diacono (nel CIC 83; nel CCEO: solo il sacerdote), benché non competente per l’assistenza, e la comunicazione dell’avvenuta celebrazione del matrimonio al parroco o all’Ordinario (c. 1121 §2). Nel codice orientale si aggiunge l’obbligo di ricevere la benedizione del sacerdote (c. 832 §3).
Un sacerdote o diacono deve essere chiamato sia in pericolo di morte che al di fuori del pericolo di morte. Il sacerdote soltanto, secondo il CCEO, o il sacerdote ed il diacono secondo il CIC 83 hanno la facoltà di dispensare circa quanto previsto nei canoni 1079 e 1080 del CIC 83 e i canoni 796 §2 e 797 §1 del CCEO e opportunamente presiedono la celebrazione che allora può svolgersi secondo i riti stabiliti dalla Chiesa. La presenza del chierico può essere richiesta per la dispensa di impedimenti che rendono inabili i nubendi; se gli sposi sono liberi da impedimenti, è valido il matrimonio anche “in presenza dei soli testimoni”(c. 1116 §2 CIC83, c. 832 § 2 CCEO; ). Il codice delle Chiese orientali, data l’importanza attribuita alla benedizione sacerdotale nella teologia orientale, espressamente richiede per la sola liceità che sia chiamato un sacerdote, se è possibile, affinché benedica il matrimonio; “in questi casi può essere chiamato anche un sacerdote acattolico” (c. 832 §2), a cui manca però la facoltà di dispensare dagli impedimenti (cf cc. 796 §2 e 797 §1 CCEO). Sebbene il codice orientale accentui in questa maniera il ruolo del sacerdote, non intacca la validità del matrimonio in presenza dei soli testimoni, che anche in questo caso secondo lo stesso codice è da considerarsi sacramentale (cf c. 776 §2 CCEO). I contraenti sono quindi nel CCEO i ministri del patto coniugale e anche di quello sacramentale (cf c. 817 §1 CCEO; PONT. CONS. DE LEGUM TEXTIBUS, Adnotatio..., in: Communicationes 35(2003), 203).
Un’istruzione della Congregazione per la disciplina dei sacramenti raccomandava la deputazione di laici che possano ricoprire il ruolo di uno dei due testimoni, la preparazione della coppia e la redazione di un documento dopo la celebrazione (1971). Per evitare l’uso frequente della forma straordinaria, il codice del 1983 prevede la possibilità di delegare laici perché assistano ai matrimoni, dove manchino sacerdoti e diaconi, previo il voto favorevole della Conferenza Episcopale e ottenuta la facoltà dalla Santa Sede (c. 1112 §1).
Dopo la celebrazione del matrimonio in forma straordinaria il sacerdote o diacono presente alla celebrazione è tenuto “in solido con i contraenti a comunicare quanto prima al parroco o all’Ordinario del luogo l’avvenuta celebrazione del matrimonio”. In caso di assenza del sacerdote o diacono quest’obbligo incombe sui testimoni sempre in solido con i contraenti (c. 1121 § 2). I parroco del luogo o chi ne fa le veci annota il matrimonio nel apposito registro e nel registro dei battezzati.
Jan Hendriks
Bibliografia:
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PONTIFICIUM CONSILIUM DE LEGUM TEXTIBUS, Adnotatio circa validitatem matrimoniorum civilium quae in Cazastania sub communistarum regimine celebrata sunt, Communicationes 35 (2003) 197-210.
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